psicoterapia e councelling

10 miti da sfatare sulla psicoterapia

  • 19/11/2013

Intraprendere con consapevolezza e impegno una psicoterapia significa senza dubbio iniziare un percorso di cambiamento ed evoluzione personale che per dare i suoi frutti richiede alcuni presupposti di fondo...

“Ho un problema ma”...

Intraprendere con consapevolezza e impegno una psicoterapia significa senza dubbio iniziare un percorso di cambiamento ed evoluzione personale che per dare i suoi frutti richiede alcuni presupposti di fondo: in primo luogo occorre riconoscere di aver bisogno di aiuto rispetto ad una determinata area (per esempio la qualità delle nostre relazioni) che sentiamo come fonte di insoddisfazione e di difficoltà. Non sempre può essere chiaro cosa ci rende infelici sin dall’inizio, ma il sentire che “qualcosa non va” o “qualcosa può essere migliorato” è la leva che in qualche modo si deve attivare per far partire il desiderio di un cambiamento. Occorre quindi una prima capacità di riflettere su di sé. Quando questa condizione di base manca, di solito sono scarsi anche l'informazione o l'interesse verso lo strumento terapeutico.

Tuttavia definire e riconoscere che esiste un “problema”, più o meno chiaro, non basta: occorre infatti anche il passo successivo, ovvero attivarsi per ricercare l’aiuto di cui si ha bisogno, il che concretamente significa individuare e contattare lo o la psicoterapeuta con cui iniziare il cammino. Serve quindi la motivazione al lavoro psicoterapeutico: che si senta cioè il peso e l'inutilità della propria sofferenza e si abbia fiducia nella possibilità di una soluzione.

Il passaggio tra il sentire una difficoltà e il ricercare aiuto per superarla può sembrare immediato o facile da affrontare, ma in realtà non è così: le resistenze individuali al cambiamento e le paure e i timori di ciascuno agiscono spesso, in modo inconsapevole per mantenere lo status quo, anche se non positivo. Ma anche alcune “false credenze” rispetto a cosa è una psicoterapia e a come si svolge possono contribuire a rendere difficile la presa in carico del proprio malessere.
Cercherò di seguito di riprendere i principali “miti” intorno alla psicoterapia per depotenziare alcuni pregiudizi e favorire l’accesso a questa strada di conoscenza ed evoluzione.

  1. “Se vai dallo psicologo (o dallo strizzacervelli) vuol dire che sei matto, malato o hai seri problemi”. Quante volte abbiamo sentito questa frase! La psicoterapia è vista come materia per persone con gravi disturbi psichici e quindi di per sé questo basta per non inquadrarla come uno degli strumenti a disposizione per affrontare un disagio contenuto o più semplicemente per conoscersi meglio. Vale la pena ricordare qui l’obiettivo che una buona psicoterapia si prefigge, in particolare per quanto riguarda l’analisi transazionale: raggiungere l’autonomia adulta attraverso il recupero di consapevolezza, spontaneità e intimità. E’ solo infatti tramite la consapevolezza dei nostri pensieri, emozioni e comportamenti nel qui e ora che potremo realizzare il cambiamento che pensiamo utile per noi ed essere artefici della nostra felicità. Con questo obiettivo complessivo, la psicoterapia può concentrarsi su tematiche specifiche (p.e. attacchi di panico, crisi d’ansia, difficoltà di concepimento, difficoltà al lavoro, insoddisfazioni coniugali, difficoltà nel rapporto con i figli) o riguardare il complesso delle nostre relazioni e della nostra qualità di vita (p.e. depressione, disturbi alimentari, insoddisfazione generalizzata). Può anche semplicemente essere uno strumento per conoscere meglio sé, anche in assenza di problemi rilevanti, e per capire l’origine e le motivazioni di un certo nostro modo di stare al mondo, magari sviluppando aree della nostra personalità che non hanno avuto fino a quel momento possibilità di esprimersi.

  2. “Quando inizi, non sai mai quando finisci”. Prevale l’idea che la psicoterapia sia un percorso lungo e tortuoso (con tutte le conseguenze del caso anche sul piano economico). In realtà, ogni trattamento psicoterapeutico è una storia a sé e non esiste una durata standard, anche perché la lunghezza o meno di un trattamento dipende dagli obiettivi che paziente e terapeuta definiscono insieme. In alcune situazioni, su obiettivi molto ristretti di chiarimento, possono bastare pochi incontri. Dove si vuole un cambiamento profondo e duraturo, può essere necessario un lavoro di due/tre anni. Talvolta è necessario più tempo.
    La variabilità della durata della psicoterapia dipende da tanti fattori, tra cui fondamentale è l’obiettivo che vuole man mano raggiungere la persona. Poi occorre considerare l'età e il punto di partenza, cioè il tipo di problema e il suo radicamento nella struttura profonda del paziente. E rimane anche un altro punto fondamentale: il paziente in ogni momento ha la possibilità di interrompere il percorso se non lo considera più utile alla sua evoluzione. L’unico vincolo rispetto a questo è un incontro di condivisione delle ragioni con il terapeuta.

  3. “Dovrò sdraiarmi su un lettino”. L’immagine che prevale del colloquio con uno psicoterapeuta è quella del paziente sdraiato sul lettino con alle spalle un professionista che prende appunti. Si tratta però di un modo di fare psicoterapia ormai poco attuale: il setting dell’analisi transazionale, in particolare, è molto diverso. Paziente e terapeuta sono seduti uno di fronte all’altro, spesso su comodi divani o comunque in un ambiente del tutto informale e molto diverso da uno studio medico, perché non c’è l’idea di una malattia da curare ma di una storia da raccontare e di cui cogliere il senso insieme.

  4. “E se diventerò dipendente dallo/dalla psicoterapeuta?”. La qualità della relazione tra paziente e terapeuta è certamente un aspetto molto importante per il buon funzionamento di una psicoterapia. Occorre un’alleanza tra terapeuta e paziente che si costruisce nel tempo, fatta, da parte del terapeuta di fiducia, sostegno, comprensione, supporto nel cambiamento che certamente, se il processo terapeutico è ben avviato, rendono il terapeuta una figura importante per la persona. Ma ciò non significa manipolazione, sottomissione o dipendenza “non sana”. In ogni fase della psicoterapia, in particolare, il terapeuta guarda al paziente come un adulto capace di prendere le decisioni migliori per sé e con tutte le risorse necessarie per raggiungere gli obiettivi che si prefigge. Un buon terapeuta ha solo il compito di accompagnare l’altro in questa ricerca di sé e di attivazione delle proprie capacità: non si sostituisce mai al paziente, suggerendo come agire, proponendo soluzioni, facendo interpretazioni. La relazione è paritaria, pur con le ovvie differenze di ruolo e competenza.

  5. “Dovrò andare a rivangare la mia infanzia e il mio rapporto con i genitori”. L’analisi e la riflessioni rispetto alla nostra infanzia e ai messaggi che i nostri genitori ci hanno trasmesso è certamente un punto di partenza importante per capire come siamo oggi e per risolvere problematiche affettive profonde. Ma non necessariamente questi aspetti dovranno essere oggetto, da subito o in generale, della psicoterapia, soprattutto se focalizzata su ambiti molto circoscritti. Saranno paziente e terapeuta insieme, in funzione degli obiettivi condivisi e dell’andamento della relazione, ad ampliare o circoscrivere gli ambiti di analisi e consapevolezza.

  6. “Sarà un percorso di sofferenza”. L’idea che la psicoterapia sia soprattutto un percorso doloroso, fatto di sofferenza e lacrime è spesso presente nel sentito comune. Se guardarsi dentro può portare alla luce bisogni insoddisfatti o sofferenze di vario livello, è altrettanto vero che la maggior parte del cammino riguarda il cambiamento, la rinascita, la riscoperta e la risperimentazione di sé. Non solo quindi dolore, frustrazione e tristezza accompagnano la psicoterapia, ma anche gioia, potenza, soddisfazione e finalmente felicità, la propria.

  7. “E se non ho niente da dire? Chissà cosa penserà di me” Spesso le persone hanno il timore di non avere nulla da dire, per esempio tra una seduta e l’altra, o che il terapeuta possa formarsi dei giudizi negativi rispetto alle storie raccontate in colloquio. Ma la psicoterapia può anche essere il luogo del silenzio, uno spazio di riflessione con un professionista formato che ci si regala per comprendere come mai, per esempio, c’è questo timore piuttosto che un altro. Un luogo insomma da dedicare a sé e alla riflessione sulle dinamiche in cui siamo immersi nel nostro rapporto con le persone e i loro ruoli.

  8. “E se cambierò troppo?”. Si vuole smettere di soffrire ma si ha paura di ciò che non si conosce e verso cui la psicoterapia ci porterà. Ma in questa paura si sottovaluta un aspetto importante, ovvero che il cambiamento che certamente ci sarà, se il paziente lo vorrà attivare, sarà quello che la persona sente in linea con il suo benessere. Non quindi troppo o troppo poco, ma un cambiamento positivo per sé in un determinato momento della vita. D’altro canto non è raro che un’evoluzione personale, soprattutto se significativa, può portare al cambiamento anche dei rapporti che la persona ha con gli altri, ma, di nuovo, sarà sempre nella direzione “decisa” dal paziente.

  9. “Mi dica lei come si fa”. L’attesa magica che con la psicoterapia si ottenga dall’altro la ricetta per cambiare, se stessi e soprattutto gli altri, e per risolvere i propri problemi è sempre molto presente. Ma lo psicoterapeuta non è un mago, un indovino, un sacerdote. Non dà indicazioni per l’altro e non ha suggerimenti: il suo compito è di aiutare il paziente a trovare le strade che secondo lui sono migliori per sé. La responsabilità e il potere di cambiare è nel paziente, il terapeuta non fa che supportarlo in tale processo.

  10. “E se il terapeuta che ho contattato non mi piace?”. La scelta del terapeuta è un momento molto importante. Il terapeuta deve essere una persona sensibile, preparata e matura, ma soprattutto deve essere in grado di accettare e rispettare il paziente pur senza farsi coinvolgere nella sua vicenda. Il modo migliore per rendersi conto se il terapeuta è quello giusto per noi, è di iniziare il trattamento e di fidarci della nostra intuizione, esprimendo sinceramente le eventuali perplessità e ascoltando la sua risposta. Se continuiamo a non fidarci o abbiamo motivi per non essere convinti forse è meglio cercarne un altro. In ogni momento infatti è possibile cambiare.

Dott.ssa Annalisa Valsasina
Psicologa Psicoterapeuta dell’adulto e della coppia

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